Cittadini, cittadine d’Europa: che fare?






Nell’urgenza di ciò che sta accadendo in Ucraina, e dopo due anni di fiaccante emergenza pandemica, sentiamo il bisogno di condividere queste brevi considerazioni schematiche, che valgono come campanello d’allarme di fronte all’ennesima semplificazione manichea e binaria di problemi complessi cui viene ridotto il dibattito pubblico europeo. 

Coloro che oggi adottano lo schema unilaterale amico/nemico e bene/male, tanto a difesa dell’Ucraina quanto a difesa della Russia, non si rendono conto del fatto che ogni guerra è la soluzione sempre sbagliata e sempre controproducente a problemi reali e quindi complessi che è ridicolo ridurre alla “cattiveria” o alla “follia” di singoli, meno che mai di interi popoli. 

Comportamenti aggressivi o irrazionali, peraltro, non andrebbero mai ricondotti a qualità identitarie intrinseche di chi li compie, perché sono sempre il frutto di dinamiche relazionali di cui fa parte anche chi li osserva e interpreta come tali. Comprendere la crisi ucraina significa ripercorrere come minimo la storia globale e europea tra il 1989 e oggi. 

Ci sono osservatori e studiosi competenti che non hanno smesso di dibatterne, per ritocchi e aggiornamenti successivi, a partire almeno dalla Rivoluzione arancione in poi (2004). Non è su questo che possiamo dare un contributo personale. 

Ma un aspetto ci sembra essenziale mettere a fuoco ora, per la coscienza pubblica europea: la nostra irresponsabile divisione perdurante in materia di politica estera e di difesa, indissolubilmente legata alla nostra tragica incapacità di costruire l’unità sovranazionale su un patto costituente e civico invece che su un’integrazione funzionalista inevitabilmente tecnocratica, è concausa primaria della guerra in Ucraina

Siamo noi europei e europee a non esserci voluti affrancare dall’ombrello protettivo americano, che sempre più si va trasformando in uno strumento di ricatto e di controllo dell’autonomia europea. Siamo noi che, pur avendo in comune stretti legami di interdipendenza storica, economica e politica con la Russia, abbiamo continuato a negoziare in modo separato per massimizzare interessi nazionali nel breve termine, indebolendo la capacità di trovare equilibri stabili sulla base dei nostri interessi complessivi di lungo termine. Siamo noi che, di conseguenza, abbiamo aperto opportunità (e persino fornito incentivi) tanto all’imperialismo americano quanto al sovranismo russo. Facendo dell’Ucraina una sorta di vittima sacrificale, alla cerniera tra un’Unione Europea drammaticamente mercantile e priva di anima politica, e una Russia faticosamente intenta a mantenere un ruolo significativo nel contesto multipolare.

Se vogliamo realmente la pace, oggi, non possiamo limitarci a “chiederla” ai governi nazionali – contando poi di fatto sulla NATO – e tanto meno ad attenderla dall’ONU. Questo è il momento dell’unità europea, non dell’unità occidentale e nemmeno della divisione nazionale. Non sarà il Consiglio europeo, cioè la diplomazia e la cooperazione tra governi nazionali, a darcela. Dobbiamo rifiutare la logica delle emergenze permanenti, che giustificano atti politici e istituzionali presi in urgenza e senza un reale dibattito democratico. Dobbiamo rivendicare con urgenza questo dibattito, prima che sia troppo tardi per averne più alcuno, per focalizzarlo sulla questione fondamentale: come costituirci al più presto Repubblica europea, cioè come impedire che si chiuda definitivamente la possibilità di sviluppare un modello sociale, istituzionale, economico e culturale capace di costruire un futuro di pace reale e sistemica, un modello terzo e diverso dalle distopie di asservimento transumanista promosse oggi con enorme efficacia tanto dalla visione neo-feudale dei monopolisti privati del “mercato” finanziario ed economico mondiale quanto dal sovranismo militarista delle poche ragioni di Stato ancora in grado di contrastarli.

Per fare questo, serve uscire dalle propagande incrociate che ormai occupano i nostri stessi mezzi di comunicazione di massa e buona parte delle nostre coscienze. E costruire assieme anzitutto una visione lucida delle impasses sempre più numerose e sempre più complesse in cui, come europei e come europee, ci troviamo. Se tarderemo a farlo, se continueremo a inseguire o eseguire agende altrui, ci sembra probabile che ben presto si chiuda ogni opportunità realistica di uscirne come soggetti autonomi della storia.

È per contribuire alla costruzione di questa visione più organica e integrata di quanto ci sta accadendo che proviamo a enumerare, qui di seguito, alcuni dei processi cui ci troviamo ad assistere impotenti ormai da diversi decenni:

·         La crescente colonizzazione finanziaria, economica, culturale dell’Europa da parte di interessi e logiche che servono:

-          la ragion di Stato americana (l’egemone mondiale in crisi strutturale)

-          gli attori privati di taglia globale che quella ragion di Stato aveva dapprima allevato e da cui rischia oggi, essa stessa, di venire sopraffatta;

-          le ragioni di Stato e gli attori privati di altri centri di potere in ascesa nel mondo.

·         La perdita di consapevolezza delle stesse classi dirigenti europee che, per motivi strutturali legati all’assetto istituzionale dell’Unione Europea e per i limiti di natura ormai cognitiva e culturale che comportano per chiunque vi occupi posizioni di potere, sono oggi incapaci di incarnare e promuovere il punto di vista e le ragioni europee di fronte alle sempre più frequenti e terribili crisi di varia natura che attraversano il mondo.  

·         Lo sgretolamento di tutta una serie di acquisizioni dello sviluppo europeo che davamo per scontate:

-          Stato di diritto, diritti umani fondamentali, regolamentazione delle forze di mercato

-          Beni comuni garantiti collettivamente: ricerca indipendente, istruzione gratuita universale e autonoma, sanità pubblica, previdenza, servizi di base…

·         Lo smantellamento progressivo delle condizioni materiali e culturali che hanno consentito, per alcuni decenni, un’organizzazione democratica alla vita collettiva nazionale e sub-nazionale e che avrebbero dovuto consentire di rafforzarla nella doppia direzione del decentramento verso le autonomie locali e della sua piena attuazione anche nelle prese di decisione necessarie su scala sovranazionale.

·         L’ascesa globale di uno scientismo istituzionalizzato e autoritario che si fa braccio ideologico al servizio della distopica subordinazione di tutto il vivente – inclusa la persona umana – ai principi di produttività e di profitto crescenti, che possono oggi perpetuarsi solo a patto di pauperizzare, proletarizzare, controllare la gran massa delle classi sociali che ne avevano beneficiato nei paesi cosiddetti “avanzati”.

·         La prosecuzione trionfale, sotto mentite spoglie, del vecchio modello di sviluppo che ha generato molteplici crisi biologiche e bio-fisiche di crescente portata e irreversibilità, profondamente destabilizzanti per i complessi equilibri sistemici del Pianeta e potenzialmente letali per la civiltà umana e per l’esistenza stessa della nostra e di innumerevoli altre specie viventi.

Sono solo alcuni dei processi cui assistiamo. Allunghiamo la lista, precisiamola e approfondiamola meglio. Ma, soprattutto, smettiamo di assistere a quel che accade! Noi dobbiamo rifiutare di sentirci meri spettatori della storia. Ed è solo come europei e come europee che possiamo farlo, oggi.

Gli Spaesati (Francesco Pigozzo e Daniela Martinelli)
https://spaesati.awareu.eu

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